«Una valle eminentemente moderna e poco pittoresca», dove «la leggenda, il folclore, il color locale si sono dileguati», e dove colui che vi abita «è estremamente più progredito e civile che quello di altre grandi valli alpine: ha la radio in casa ed è abbonato a un quotidiano di Torino; è in contatto con gente di città in ogni stagione dell'anno; molto spesso scende egli stesso a lavorare in città col primo treno del mattino, e risale con l'ultimo della sera».
Così nel lontano 1953 il musicologo, alpinista e resistente Massimo Mila concludeva un suo lungo articolo sulla Valle di Susa, pubblicato sulla rivista del Touring Club Italiano «Le Vie d'Italia». Una modernità che Mila attribuiva innanzitutto al ruolo della valle di millenario attraversamento transalpino, e su cui, nel corso dell'Otto e Novecento, si sarebbero progressivamente innestate la ferrovia e l'industrializzazione del fondovalle, il turismo estivo e le stazioni invernali, le nuove infrastrutture viarie e l'urbanizzazione diffusa. Una valle, quindi, per certi versi tradizionalmente urbana,
E al contempo, però, la Valle di Susa resta uno spazio estesamente intriso di enclave naturali e rurali, di incredibili montagne, di straordinarie testimonianze storiche e culturali oggi oggetto di ingenti fenomeni di patrimonializzazione.
In questo suo essere intreccio inestricabile di urbano e di montagna, soprattutto la parte alta della Valle di Susa rappresenta forse uno dei luoghi più emblematici della contemporaneità. Uno spazio emblematico che pone domande difficili e di non facile risoluzione.
Sospensioni. Prove di decodificazione dell'Alta Valle di Susa contemporanea
installation | archival print/Hahnemuhle Paper/ Photo Rag Matt | photographies variable size | edition of 5 | 2015
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